Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: Art. 19 – Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione: in ricordo di Hevrin Khalaf

Una Toyota sfreccia sull’autostrada M4 in direzione di Qamishli. L’autista sa di portare a bordo un passeggero d’eccezione: Hevrin Khalaf, trentacinquenne segretaria generale del Partito del Futuro siriano, attivista per i diritti delle donne e in prima linea per il riconoscimento dell’identità del popolo curdo.

La Toyota non arriverà mai a Qamishli. Un commando armato la attende in mezzo alla strada, l’auto viene crivellata con raffiche di mitra e gli uomini prelevano Hevrin Khalaf, dopo aver ucciso l’autista. Una volta fuori dalla vettura, la donna è pronta a pagare il prezzo della sua libertà.

Nata il 15 novembre 1984 da una famiglia da sempre impegnata nel movimento di liberazione curdo, laureata in ingegneria civile presso l’università di Aleppo, era da anni attivista sul fronte del dialogo fra
curdi, cristiani e arabi per accrescere la tolleranza e l’unità.

Diventata una personalità politica, dopo l’inizio della guerra in Siria nel 2011 aveva lavorato per diverse ONG prima di diventare capo del Consiglio economico nella città di Qamishli.

Nel 2014, in seguito all’annuncio dell’istituzione dell’amministrazione autonoma curda del Rojava, era diventata vicepresidente della Commissione per l’energia e, quindi, capo della Commissione economica per le aree controllate dai curdi in Siria.

Si batteva per i diritti delle donne nelle comunità islamiche ed era noto il suo grande talento per la diplomazia.

Aveva guidato un Forum tribale delle donne, quest’ultime soggetto cruciale, per lei, di una possibile transizione democratica per una Siria inclusiva e rispettosa dei diritti delle minoranze.

Nel 2018 era stata nominata segretario generale del Syrian Future Party e membro del consiglio democratico siriano, in tale veste partecipava ai negoziati con Stati Uniti, Francia e altre delegazioni.

Al momento della sua fondazione, avvenuta il 27 marzo del 2018, il Partito per il Futuro della Siria aveva affermato tra i suoi princìpi la laicità dello Stato, oltre quello di una Siria “multi identitaria”, della “rinuncia
alla violenza” in favore di una “lotta pacifica per la risoluzione delle controversie”, dell’”eguaglianza tra uomini e donne” e del rispetto delle risoluzioni delle nazioni Unite, in particolare la risoluzione 2254,
secondo cui tutte le fazioni del popolo siriano dovrebbero essere rappresentate nel processo politico, compresa la stesura di una nuova costituzione.

Sabato 5 ottobre 2019, congresso del Centre of Diplomatic Studies and consultation

La Turchia è pronta all’ operazione militare contro i curdi, da loro definiti terroristi, per creare una safe zone di 400 chilometri a est dell’Eufrate grazie anche alla scelta degli USA di defilarsi e lasciare campo aperto
all’offensiva di Ankara.

Hevrin Khalaf rilascia delle dichiarazioni, riportate dal Rojava Information Center, in cui critica aspramente la repressione della Turchia contro i curdi: I tentativi turchi “di occupare questa terra per difendere il suo popolo non corrispondono alla realtà”, aveva affermato Hevrin “Noi respingiamo le minacce turche, soprattutto perché ostacolano i nostri sforzi per trovare una soluzione alla crisi siriana.

Durante il periodo in cui l’Isis era al potere vicino al confine, la Turchia non lo vedeva come un pericolo per la sua gente.

Ma ora c’è un’istituzione democratica nel nordest della Siria, e loro ci minacciano con l’occupazione”.

L’istituzione democratica di cui parlava Hevrin Khalaf è il progetto di Confederalismo Democratico del Rojava, una struttura politica e sociale di autogoverno democratico sperimentata dal popolo curdo, fondata
sulla riconciliazione tra i popoli e sull’uguaglianza di genere, così stravolgendo il ruolo delle donne nel Medio Oriente.

Attività che l’ortodossia islamica su cui si poggia anche l’Akp, il Partito di Erdoğan, giudica inaccettabile.

Le donne del Rojava hanno infatti combattuto e si battono per la parità di genere cercando di smantellare quel patriarcato alimentato dal fanatismo religioso.

Mercoledì 9 ottobre 2019.

Le minacce della Turchia diventano effettive: il territorio dei curdi viene invaso militarmente.

In pochi giorni di battaglia arrivano le prime cifre drammatiche diramate dall’Onu: oltre 130mila sfollati, 400mila persone senza acqua, ospedali pubblici e privati chiusi e soprattutto più di 300 vittime, compresi i civili.

Inoltre sono state attaccate delle prigioni favorendo la fuga di uomini affiliati allo Stato islamico.

L’offensiva militare turca nel nordest della Siria ha devastato la vita dei civili siriani, che ancora una volta sono stati costretti a lasciare le loro case e a vivere nel costante pericolo di bombardamenti indiscriminati,
rapimenti ed esecuzioni sommarie

ha dichiarato in una nota ufficiale Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International

L’esercito turco e i suoi alleati hanno mostrato un profondo, vergognoso disprezzo per le vite civili lanciando attacchi illegali e mortali in centri abitati che hanno causato la morte e il ferimento di civili“.

Alcune personalità sono più a rischio delle altre, ed Hevrin Khalaf sa di essere tra queste.

Le sue posizioni sono una minaccia sia per il governo turco che per le cellule terroristiche che si stanno risvegliando, pronte a tornare in azione.

Eppure è intenzionata ad andare avanti: il 12 ottobre vuole essere presente a un vertice del suo partito a Qamishli, costi quel che costi.

Come insegnano i curdi, il processo democratico deve andare avanti anche sotto il fischio delle bombe.

Sabato, 12 ottobre 2019

Un commando di uomini appartenenti alle milizie arabo-siriane che appoggiano l’offensiva turca, la cui presenza è stata favorita dagli attacchi alle carceri, afferrano Khalaf e la portano sul ciglio della strada.

Forse la stuprano.

Poi prendono le pietre e comincia la lapidazione, non si sa se prima o dopo averle sparato.

Quindi registrano dei video con i loro telefoni e li diffondono su internet.

Si vede il corpo senza vita di Hevrin tra polvere, terra e sangue, i calci di un uomo per dimostrare che è morta.

E una voce in sottofondo, nitida, che pronuncia: “Così muoiono i maiali”.

Un’amica stretta di Hevrin Khalaf ha riferito ad Amnesty International che, quando ha provato a chiamare la donna sul suo cellulare, si è sentita rispondere da un uomo che si è identificato come un combattente di un
gruppo armato siriano di opposizione che in arabo ha detto:

Voi curdi siete dei traditori, fate tutti parte de Pkk

e ha concluso la telefonata comunicando che Hevrin Khalaf era stata uccisa.

Un referto medico esaminato da Amnesty International elenca le ferite subite da Hevrin Khalaf: una serie di colpi di pistola al capo, al volto e alla schiena, fratture alle gambe, al volto e al cranio, parti della pelle strappati dal cranio e perdita di cuoio capelluto.

Perché? Perché tutta questa brutalità? Perché tutto questo odio?

Hevrin era odiata per quello che era e per quello che rappresentava.

Svolgeva un importante ruolo politico in un mondo integralista musulmano che considera la donna inferiore e impura.

Lottava per l’identità del popolo curdo ma credeva nella convivenza pacifica dei curdi, dei cristiano-siriaci e degli arabi.

I suoi valori di democrazia, di parità di genere e di tutela delle minoranze erano profondamente in conflitto con altri interessi in gioco nella guerra siriana: fanatismo religioso e mire espansionistiche nel totale disprezzo dei diritti umani.

Infine era pericolosa perché stimata a livello internazionale per la sua tenacia e le sue doti diplomatiche.

Come non citare l’articolo 19 racchiuso nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che dice:

Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato
per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”

Nell’anno in cui celebriamo i 73 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani assistiamo costantemente a fatti inquietanti che interrogano le nostre coscienze.

Sebbene la strada dei diritti e della giustizia internazionale continui ad essere ardua e precaria, la risposta sta nella costanza e nella tenacia di
ognuno di noi a far valere questo prezioso documento, elaborato per garantire un futuro di pace e sviluppo ai popoli della Terra.

Ma sta anche nel non abbassare la guardia, mai, mai limitarsi a celebrazioni rituali (per quanto sia giusto) delle nostre carte dei diritti.

Nessun punto è mai davvero d’arrivo, nessuna conquista è assicurata una volta per tutte.

Occorre restare sempre vigili, netti nella denuncia e nell’impegno, chiari e coraggiosi nell’assunzione di
responsabilità, forti nella pretesa del rispetto dei diritti di tutti

Liliana Segre

I valori di Hevrin Khalaf, per cui tanto si è impegnata e ha combattuto, continueranno a vivere e cammineranno non soltanto sulle gambe delle donne curde e siriane, ma su quelle di tutte le donne, e non solo le donne, che li condividono in ogni parte del mondo, rendendo omaggio non solo all’articolo 19, ma a tutti gli articoli della Dichiarazione Universale dei diritti umani.

Un patrimonio inossidabile per tutti e per tutte.

Giulio, attivista del gruppo 028 di Amnesty Brescia